TEW #31 - La tecnologia sta mangiando il mondo
Cosa ci ha portato la tecnologia, di buono e di cattivo, questa settimana
Buongiorno, è eccezionalmente sabato, e questa è TEW #31. ✅
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La settimana lavorativa di 4 giorni in UK è stata un successo
Come riferisce Forbes, la settimana lavorativa ultra-corta di 4 giorni, a parità di stipendio, si è rivelata un successo in UK. L’esperimento ha coinvolto 61 aziende e 2.900 lavoratori in tutto il Regno Unito. Il 92% delle imprese (56) ha deciso di continuare con la settimana corta, 18 hanno reso permanente il nuovo regime.
Il test svolto nel Regno Unito è il più ampio mai condotto su questo nuovo schema orario. Il 39% dei dipendenti ha dichiarato di essere meno stressato. Il 54% ha detto di essere riuscito più facilmente a bilanciare il lavoro e la vita domestica e sociale. Le persone che hanno lasciato il lavoro durante l’esperimento è sceso del 57% rispetto all’anno precedente nello stesso periodo. I giorni di malattia sono diminuiti del 66%. Inoltre, secondo la società Autonomy che ha elaborato i dati finali, i ricavi delle aziende nel periodo sono aumentati in media del 1,4%.
Uno schema da sperimentare anche in Italia? Altri paesi che hanno già sperimentato o sono in procinto di farlo la settimana ultra-corta, sono l’Islanda, la Spagna, il Portogallo, la Scozia, il Belgio e il Giappone. In Italia qualcosa si muove con le iniziative di Intesa Sanpaolo, Magister Group e, parzialmente, Lavazza.
La guerra non ha distrutto l’Europa nonostante le difficoltà
Contrariamente alle speranze di Vladimir Putin, l’Europa non ha subìto una catastrofe economica. Dopo un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, non c’è stato il crollo, anche se nell’estate del 2022, quando il prezzo del gas ha raggiunto livelli record, si è temuto il peggio. I danni sono stati limitati a una stagnazione: nel quarto trimestre del 2022 la crescita europea si è fermata in media allo 0,1 per cento e il 2023 sta mostrando la stessa tendenza.
La crisi energetica e la necessità di eliminare la dipendenza dal gas russo hanno messo in crisi le famiglie e le aziende. Quando nell’estate 2022 il prezzo del gas ha raggiunto i 338 € al megawattora, quindici volte la media storica, si è temuto il peggio. Ma la crisi si è rivelata più breve del previsto visto che, in questo mese di febbraio, il prezzo è sceso a 48,90 €, il più basso da 18 mesi a questa parte. Questo nonostante il fatto che le consegne di gas russo siano diminuite dell’85% nel quarto trimestre 2022.
I punti chiave di questa resistenza sono stati i consumi di gas naturale, che in Europa sono scesi del 20% rispetto alle medie storiche 2017-2021, e il successo ottenuto da molti paesi europei nell’individuare fornitori alternativi alla Russia. Tuttavia i numeri sono stati anche aiutati dalla crescita dell’Irlanda (+12,2% nel 2022), crescita che, secondo alcuni, risulta “gonfiata” dalle concessioni fiscali che la repubblica irlandese concede alle multinazionali.
Una società energetica non ha guadagnato dall’aumento dei prezzi
Si tratta della Edf francese che, nel 2022, ha registrato una perdita record di 17,9 miliardi di euro. Il “merito” è in gran parte dovuto alle iniziative del presidente francese Macron che ha imposto un limite del 4% (nel 2022) e del 15% (nel 2023) agli aumenti delle bollette energetiche.
Il Messico nazionalizza le riserve di litio del paese
Il giacimento, scoperto nel 2019 nello stato di Sonora, ammonta a 1,7 milioni di tonnellate. Il governo ha deciso di sospendere le nuove licenze di sfruttamento ai paesi stranieri, entrando in contrasto con la Cina che già deteneva delle concessioni. Tuttavia, lo slogan “il litio per tutti i messicani” appare fino ad oggi più una mossa propagandistica che un progetto strutturato, visto che il Messico è privo delle tecnologie necessarie a sfruttare il litio nella produzione industriale di massa.
Nuovo elettrodotto tra l’isola d’Elba e Piombino
Terna ha annunciato l’avvio dell’attività di posa del cavo sottomarino del collegamento a 132 kV tra l’Isola d’Elba e Piombino (LI). I 34 km di cavo sottomarino, trasportati dalla nave posacavi più grande del mondo, la Leonardo Da Vinci di Prysmian Group, verranno posizionati a una profondità massima di circa 70 metri sotto il livello del mare, partendo dall’approdo isolano di Portoferraio e procedendo verso la costa continentale di Piombino. L’operazione avrà una durata complessiva di circa 10 giorni.
Il futuro dei vaccini mRNA
Scienziati e aziende hanno lavorato sui vaccini basati sull'mRNA per decenni. I primi trattamenti sperimentali sono stati testati nei roditori nel 1990, per malattie tra cui diabete e cancro.
Anche se i primi vaccini mRNA approvati sono stati quelli per il covid-19, vaccini simili sono ora in fase di esplorazione per tutta una serie di altre malattie. Malaria, HIV, tubercolosi e Zika sono solo alcuni dei potenziali obiettivi.
I vaccini a mRNA potrebbero anche essere utilizzati in trattamenti contro il cancro “su misura” per il singolo individuo. L'idea è quella di innescare una risposta specifica da parte del sistema immunitario, progettata per attaccare le cellule tumorali nel corpo.
Prima che qualcuno iniziasse a sviluppare vaccini mRNA per il coronavirus, i ricercatori stavano cercando di trovare modi per utilizzare l'mRNA per curare il cancro. Qui l'approccio è leggermente diverso: l'mRNA funzionerebbe come un "vaccino terapeutico". Allo stesso modo in cui possiamo addestrare il nostro sistema immunitario a riconoscere le proteine virali, potremmo anche addestrarli a riconoscere le proteine sulle cellule tumorali. In teoria, questo approccio potrebbe essere totalmente personalizzato: gli scienziati potrebbero studiare le cellule del tumore di una persona specifica e creare un trattamento su misura che aiuterebbe il sistema immunitario di quell'individuo a sconfiggere il cancro.
Siamo invasi dai PFAS
Secondo uno studio del Forever Pollution Project sarebbero circa 17 mila i siti contaminati con livelli superiori a 10 nanogrammi per litro in Europa dagli Pfas, considerati una sostanza inquinante «eterna». Di questi 2.100 hanno livelli pericolosi per la salute con concentrazioni di oltre 100 nanogrammi per litro. Individuate inoltre venti fabbriche produttrici di Pfas (principalmente in Germania e Francia, due in Italia) e 230 aziende utilizzatrici.
In particolare, per il Veneto, si tratta di una vecchia storia. Gli Pfas, composti chimici prodotti dagli anni Sessanta nella piana fra Padova, Verona e Vicenza, sono stati versati per decenni nelle acque superficiali delle campagne e da lì sono percolati nelle falde contaminando un’area molto estesa, considerata dal Cnr il più grande inquinamento idrico d’Europa.
Gli Pfas sono sostanze utilizzate nell’industria degli arredi, del vestiario, nel teflon per rendere antiaderenti le pentole e in molti altri settori, che presentano gravi conseguenze sulla salute poichè tendono a essere assorbiti dal sangue. Nelle acque del Po ne sono stati riscontrati livelli altissimi. La scorsa settimana l’Agenzia europea delle sostanze chimiche ha avanzato la prima proposta per vietare gli Pfas dal 2026.
L’Europa vuole sostenere l’industria green
Si chiama «Green Deal Industrial Plan» e vuole far diventare l’Europa il punto di riferimento dell’industria a ridotto impatto ambientale. Il piano è stato annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen al World Economic Forum di Davos. Esso rappresenta la risposta europea all’Inflation Reduction Act, il programma di aiuti statali da 433 miliardi di dollari con cui il presidente statunitense Joe Biden vuole sovvenzionare le aziende che producono sul proprio territorio.
Una parte significativa di questa strategia, che prevede quattro direttrici, è il Net-Zero Industry Act, un’iniziativa legislativa volta a sostenere la cosiddetta industria «clean tech». Il settore comprende tutti i processi produttivi che riducono l’impatto ambientale negativo sul territorio in cui avvengono ricercando una migliore efficienza energetica e un uso più sostenibile delle risorse a disposizione. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia il settore varrà 650 miliardi di dollari all’anno nel 2030, il triplo della quotazione attuale.
“Per mantenere attraente l'industria europea, è necessario essere competitivi con le offerte e gli incentivi attualmente disponibili al di fuori dell'UE", ha affermato von der Leyen. "Questo è il motivo per cui proporremo di adeguare temporaneamente le nostre norme sugli aiuti di Stato per accelerare e semplificare. Calcoli più semplici. Procedure più semplici. Approvazioni accelerate", ha detto.
L’idrogeno verde può davvero fermare il riscaldamento globale?
L’idrogeno classificato come ‘verde’, a bassissimo o praticamente nullo tenore di carbonio, viene prodotto da elettrolisi dell’acqua. Tramite l’apporto di elettricità, la molecola dell’acqua viene scissa in idrogeno e ossigeno. Quando l’energia elettrica utilizzata in questo processo proviene da fonte rinnovabile (perlopiù energia eolica e solare), è praticamente carbon free, ovvero ha un tenore di carbonio pressoché nullo.
Tuttavia, secondo uno studio di Odenweller e Ueckerdt, per fare davvero affidamento sull’idrogeno verde per limitare l’aumento delle temperature di 1,5°C dall’età pre-industriale entro il 2050, dovremmo aumentare la capacità degli elettrolizzatori di 6.000 volte rispetto ai livelli attuali di 600 megawatt (MW). Un ritmo di crescita impensabile senza interventi politici rapidi.
“Le nostre analisi – spiegano i due studiosi – suggeriscono che anche con una velocità di crescita simile a quella dell'energia eolica e solare, la capacità degli elettrolizzatori non riuscirebbe a garantire più dell'1% dell'energia finale entro il 2030 nell'UE e il 2035 a livello globale - ben al di sotto del fabbisogno negli scenari di 1,5°C”. L'attuale capacità di elettrolisi – spiegano i due ricercatori – è paragonabile alla capacità del solare fotovoltaico (PV) nel 2000. Per raggiungere i 300GW, ci sono voluti 17 anni. Se tutti i progetti annunciati si concretizzassero nei tempi previsti, per l’idrogeno verde ci vorrebbe la metà del tempo. Tuttavia, gli impegni di investimento negli elettrolizzatori sono in ritardo. Oltre l'80% della capacità annunciata per entrare in funzione nel 2024 non è ancora supportata da una decisione finale di investimento. Tutto questo non fa presagire scenari rosei.
Circa la metà dei progetti in cantiere è in Europa. Il pacchetto REPowerEU si è dato come obiettivo la produzione di 10 milioni di tonnellate (Mt) di idrogeno verde entro il 2030 e l’importazione di altre dieci. Produrre ogni 10 Mt di idrogeno richiederebbe circa 100 gigawatt (GW) di capacità di elettrolisi. Al momento l’idrogeno ‘blu’ – ricavato dal gas con la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica – potrebbe svolgere un ruolo di ponte. Tuttavia, restano le preoccupazioni sulle emissioni durante il ciclo di vita e i forti aumenti dei prezzi del gas nell'UE hanno complicato la competitività dell'idrogeno blu.
Il video della settimana
PFAS in Veneto: "Il veleno nell'acqua", documentario.